di Andrea Scudera. Forse quei bambini che mi hanno aperto il cuore sul mio mondo perduto dell’infanzia non lo sanno, non l’hanno mai saputo perché quei gringos per tutti questi mesi sono saliti sul monte dove vivono. Ed in fondo, perché avrebbe dovuto importargli di un ‘perché’, se per stare insieme non serve appunto altro che stare insieme? -‘Che ci facevate qui?’ -‘Per stare con voi, quanto ci siamo divertiti, quanto abbiamo appreso..!’ –“E quando tornerete? ..”. Quest’ultima domanda un po’ fa male. Forse per qualcuno la risposta cadrà in uno dei tanti giorni di pioggia, ed un goccia sulla fronte gli dirà ‘no’, e questo cozza con la nostra giovane voglia di proseguire ancora, parliamo della libertà di aprire finestre luminose nella nostra vita con quelle degli indigenti, grazie alle motivazioni ed i diritti che possiamo. Ed ora, di fronte a questa domanda vorrei che questa finestra non si stesse chiudendo…
I motivi della presenza di ognuno di noi qui è diverso, cambia da volontario a volontario, da vissuto a vissuto, ma trova un’espressione comune sotto l’ombrello di ENGiM. In questi mesi ho svolto le mie attività educative con i bambini kichwa che abitano nella comunità di H., a un’ora di cammino da Tena, nel cuore dell’Amazzonia. È stato un lavoro che per noi considero pioneristico: da un giorno all’altro quattro ragazzi dell’altra parte del mondo arrivano in una comunità rurale per stare con i suoi bambini, non è stato per niente facile all’inizio… Resistenze, chiusura, diffidenza. Qualcuno ci ha detto il suo nome dopo alcuni mesi, qualcun altro ha cominciato a parlare dopo altri mesi… pian piano la timidezza e la diffidenza verso i gringos si sono sgretolate per lasciare spazio ad una spontaneità sfrontata, e per questo preziosa. Parallelamente alla nostra presenza nella comunità, l’operato dell’ONG ha portato l’acqua potabile nella comunità di H., ed insieme ad una maggiore sicurezza sanitaria si aggiungono le nuove responsabilità sui costi di manutenzione e tassazione sull’utilizzo della risorsa idrica: le vite della gente cambiano, facendosi più agiate, le tradizioni ed i costumi degli umani fuori dal sistema a cui apparteniamo mutano sempre più in fretta, allineandosi ai nostri, alcuni spariscono, anche qui nella remota Amazzonia: la spinta della presenza dell’‘uomo bianco’ nel Sud del mondo è visibile, e la Cooperazione non è esclusa da questo movimento. E’ difficile guardare i mondi e le culture a cui non apparteniamo senza i pregiudizi, gli stereotipi ed i metri di giudizio che ci contraddistinguono come cultura agiata di questo mondo, eppure per me questo esercizio è stato vitale per donare una significatività più possibile coerente alla mia presenza qui, come volontario.
Mi ricordo il giorno in cui abbiamo invitato i niños nella casa in cui viviamo, e nonostante avessimo cucinato e mangiato insieme, nel giardino fuori il Bonuchelli loro non facevano altro che arrampicarsi sulla cima degli alberi come scimmiette ancora là, nella selva, per cibarsi dei loro frutti, e vedendo i nidi delle palomitas sotto le grondaie argomentavano insieme sul come giungere alle uova. A stomaco pieno! ln questo momento storico in cui le nostre grasse e stressate società dipendono dal packaging e dagli imballaggi dei supermercati e lavorano per mandare avanti la macchina di produzione del capitale materiale e immateriale per detenere la condizione di ‘benessere’, vedere quei bambini arrampicarsi sulle cime degli alberi di mango e di guaba mi ha portato a riflettere su alcune delle fragilità delle nostre società, che dopo aver vissuto in un contesto amazzonico mi sembrano enormi: come sarebbe se da un giorno all’altro non trovassimo più il nostro bel filetto di pollo al banco frigo, l’insalata tagliata e incellofanata o i pacchetti di biscotti al cioccolato sullo scaffale? Chi di noi sarebbe in grado di vivere della Natura? Quanti di noi sarebbero capaci di uccidere un animale per sfamarsene? Quanti di noi hanno conservato la saggezza e la conoscenza che sta nelle unghie sporche di terra? Per i bambini con cui ho vissuto, non c’è alcun dubbio, il sangue freddo e la saggezza della terra sono quel pane quotidiano che nel vecchio Mondo si ritiene troppo azzimo.
E non che non lo sia, è che per noi azzima non è più la vita ma i modi e gli stili che la rendono ‘meno degna’… Mi chiedo se le aspettative di quel ‘benessere’ siano le stesse per una donna kichwa, un bambino eschimese, o un uomo mediorientale… Com’è la vita reale degli esseri umani nelle diverse latitudini rispetto alla nostra, motorizzata e istantanea? Chi di noi ha ben chiaro cosa si intende quando parliamo di ‘progresso’, di ‘sviluppo’ del mondo? Verso dove si va? ln questo contesto chiamato Terra, la Rivoluzione francese ed i suoi principi egualitari sembrano ideati sulla base di una ed una sola società: la nostra. Come staremmo se tutti in questo pianeta avessero diritto agli standard che le nostre istituzioni ci concedono, che ormai diamo per scontati, e che spesso inconsciamente consideriamo il modello a cui aspirare, il livello universale da raggiungere quando parliamo dell’uomo? Che cosa conoscete veramente dell’umanità? lo a questa domanda mi sento piccolo come l’ombra di queste lettere… Riuscite a immaginare una civiltà che vada al passo prepotente della nostra società? Cosa significherebbe per il pianeta, per la resilienza delle sue terre, delle sue acque e della sua aria e per la diversità di stili e di vita che riesce ad accogliere? Sotto il principio di eguaglianza universale a tutti costi, spinto oltremare e ad ogni latitudine dal processo unificatore della globalizzazione, a volte si nasconde il nostro etnocentrismo, e quindi la nostra ignoranza: forse così si diffonde la pena per chi non ha il nostro, sono così lontani, capirli è difficile, e allora non scendiamo a compromessi… una storia a volte non basta.
Ho visto l’immensità di un bambino cui faceva male la pancia perché anche quel giorno non aveva da mangiare, e che senza pensarci su caricava sulle spalle tutti i più piccoli in difficoltà: da queste parti un attimo può insegnare più di un anno nelle nostre scuole o nelle nostre strade, ed è più forte di qualsiasi discorso o opinione che possiamo avere sui tutti questi luoghi così lontani dai nostri. Certo, è doloroso essere partecipi dei tipi di violenza che caratterizzano queste terre, ed ho l’impressione che il diffuso mutare del naturale dolore che accompagna questa esperienza in un semplicistico e presupponente ‘poveri loro’, possa derivare almeno da due cose: dalla nostra disabitudine in quanto occidentali nel confrontarci quotidianamente con quelle situazioni di violenza e scarsità che hanno peraltro fatto parte della recente storia dei nostri avi, ma anche dalla tendenza che abbiamo di occultare ogni tipo di dolore nelle nostre società, rese paradossalmente, per questo, a loro modo sofferenti: per noi, riscaldati dal tepore di un diritto, è facile dimenticarsi del dovere di ascoltarsi, è facile che una società possa soffrire in una cieca, esclusiva lotta per i diritti. Qua i diritti non ci sono, ma la gente dispone di altre libertà… Vedere tutta questa generosità d’animo in mezzo alla povertà mi fa credere che in realtà siamo noi quelli in emergenza, nell’urgenza di riprenderci i nostri tempi.
l diversi tipi di sofferenza che vivono le società del Sud del mondo non dovrebbero allontanare il nostro sguardo e la nostra attenzione dalla sofferenza che la nostra società vive, certo più invisibile, più celata, meno appariscente ma non per questo meno indegna di quella ai nostri occhi arcaica e passata, da superare, delle società per noi ‘in via di sviluppo’. Prima di cimentarci nel cosa sia giusto o sbagliato per gli altri, dovremmo prima capire realmente dove stiamo andando noi: cos’è questo ‘progresso’, questa ‘crescita’, questo ‘sviluppo’ che tanto inseguiamo? Verso dove andiamo, ma soprattutto chi e cosa ci stiamo lasciando indietro? Giudicare le società a noi lontane con i nostri metri di giudizio non è forse la cosa più semplice e colonialistica di cui siamo peraltro già stati capaci? Chi di voi ha vissuto veramente con loro, come loro, chi conosce?
Quante domande… probabilmente vi starete chiedendo cosa centrano i bambini kichwa con cui ho vissuto con tutto ciò? Ebbene, mi hanno insegnato a pensare non solo su chi sia io in quanto ‘italiano’ o ‘occidentale’ nel Mondo, ma in quanto uomo-nella-Natura. Sì, proprio loro, dei bambini! A confronto gli adulti a volte sembrano così così insoliti, come diceva il Piccolo Principe… Che catastrofe può essere crescere! E che catastrofe può cadere sul nostro tetto o inondarci le case qui, vicino ai ríos… la Natura dà, e la Natura toglie. Non possiamo scorgere solo il primo movimento e vedere solo le opportunità, le libertà che ci concede: la natura è violenta, come violento è il mondo e la vita, ma noi nel lusso occultiamo, e docili scordiamo. Questa pandemia forse ce l’ha ricordato… Ma i bambini e la gente di questi luoghi lo sapevano già da prima, da sempre che la vita è anche incomoda, insieme a certi altri miliardi di persone… Qui la terra si rispetta, e le foreste sono vive di spiriti e leggende… Saremo noi stessi, gente dell’ovest, a depauperarci casa a tal punto da ritrovarci un giorno con le care macerie del fantasmatico sogno del progresso? È così bruscamente che riscopriremo il lato austero della vita che i nostri avi tanto conoscevano, o inizieremo con il portare un po’ di sobrietà ai nostri bisogni accessori, per il benessere non solo nostro ma di tutti?
La mente corre, mi porta su uno scenario molto lontano: cosa succederà banalmente quando non troveremo più combustibili fossili? Quali materiali e quale energia sostenteranno le nostre agiate vite? Qui in Ecuador sono solo due i popoli indigeni che hanno rifiutato l’accesso alle loro terre da parte delle multinazionali del petrolio, ed il Paese è costellato di comunità indigene. Riuscite a immaginare un mondo simile a quello in cui viviamo, non mandato avanti però dal principio della combustione, del bruciare per ‘progredire’? Ebbene, i bambini con cui ho vissuto vivono esattamente così, e sebbene possa fare effetto a molti italiani ed occidentali come noi che di fronte ad una pizza fumante possano storcere il naso e scegliere di cacciare e mangiare delle uova di piccione amazzonico, non ho trovato un motivo reale per giudicarli quanto invece di ascoltare ed apprendere da loro. Ciò che noi chiamiamo progresso, comprese le libertà per cui lottiamo ed il ‘benessere’ che non ci fa sporcare le mani di terra e spaccare la schiena per portare caschi di platano sulla schiena, si basa proprio sul futuro lavoro di questi bambini e sulla ricchezza delle loro terre. Forse in questa pandemia ci è stato permesso di vedere in uno spiraglio futuro del corso della storia, un momento in cui i nostri sistemi socio-economici con gli agi ed i privilegi che ci garantiscono rivelano la loro friabilità sotto un improvviso colpo di vento. Cosa ci rimane oltre ciò in cui crediamo? Ci ricordiamo ancora dell’aria che respiriamo e della terra che calpestiamo? Nelle nostre città, la nostra presenza sembra così poco grata alle genti lontane, così poco vincolata alla Natura, eppure…
Ancora una volta, è Lei che ci insegna piu’ di ogni paradigma economico o culturale, perché a differenza loro è la cosa piu’ reale che esista: non è inventata, non c’è bisogno di crederci affinché esista. Eppure è paradossalmente la realtà che la cultura occidentale considera meno, da cui più s’è distaccata, a favore dell’occultazione a tutti costi del dolore, della ricerca del piacere, del ‘benessere’ e del raggiungimento di un certo status quo dei suoi membri: aspirazioni facilmente declinabili da un’inondazione o da un genoma virale che oggi sceglie noi come ospiti, e domani chissà quale altra coltivazione, o specie. Qui in Amazzonia i bambini già a sei anni conoscono i nomi e gli usi delle piante che per millenni hanno permesso ai loro avi di ‘stare bene’, un comune adulto italiano probabilmente non saprebbe distinguere un iperico da una genziana, forse addirittura qualcuno pensa che le mele crescano già impacchettate sui rami… La Natura è madre austera di tutte le cose, ed è incredibile vedere come qui sia così legata alle vite delle persone: preservare il nostro rapporto con essa e gli insegnamenti, la conoscenza che ci dispensa, come avviene da millenni qui in questa selva, è di vitale importanza per un benessere che possa veramente definirsi universale, imparziale e punto di ogni partenza.
La vita di questi bambini è segnata dalla violenza, come violenta è la Natura in cui realtà viviamo: ciononostante sono essi l’espressione piu’ pulsante delle nostre radici, ci parlano di una gratuità sfrontata, di una felicità senza pari e di un’umiltà che odora di humus nei piedi e di fango nelle ciabatte rotte. Di un senso di comunità che si attua nel lavoro associativo (minga in kichwa) e si esprime nell’animo tra le persone. Progredire non basta, innovare non conta, i diritti e le libertà non valgono nulla se ti scordi da dove vieni: essere qui è stato un po’ come viaggiare indietro, nelle radici del tempo. Siamo tutti un po’ questi bambini, e scordarcene non fa solo male a noi, ma anche alla Terra.
Gracias Niños