di Tommaso Meneghetti – San Juan de los dos rios de Tena, o più comunemente Tena, è il capoluogo
della provincia del Napo, regione situata nella parte orientale dell’Ecuador. Una cittadina alle porte dell’Amazzonia circondata da fiumi, cascate, sentieri e parchi; un giusto compromesso di vita tra una natura fitta e avvolgente, e una località dove si può trovare tutto il necessario (o quasi).
Questo centro abitato ha la fortuna di offrire numerose strutture scolastiche, spesso sono complessi molto grandi e questo è sicuramente dovuto anche all’alto tasso di natalità della zona.
Tra questi ce n’è uno situato al centro di Tena, nella via principale che taglia a metà la città (Av. 15 de Noviembre): l’Unidad Educativa Mons. Maximiliano Spiller. Questo istituto ha iniziato la sua attività il primo Ottobre 1979 con 300 studenti divisi in 6 gradi differenti, incrementando notevolmente l’affluenza già negli anni successivi, arrivando ad una situazione attuale con un totale di 1947
studenti e 118 docenti.
Gli alunni possono iniziare il percorso scolastico già all’età di 3 anni, fino ad arrivare al conseguimento del diploma; la scuola offre un titolo in Commercio e Amministrazione, Tecnico Industriale con specializzazione in Lavorazioni e Costruzioni Metalliche e un diploma in Scienze.
A questa scuola viene annessa, nel 1997, la sola unità educativa per studenti disabili presente nel cantone, dando vita alla ‘’Unidad Educativa Especial Maximiliano Spiller’’; il progetto di appoggio scolastico di Engim (Entidad Nacional Josefinos del Murialdo) parte proprio da questo.
Il mio arrivo in Ecuador risale al primo Ottobre 2022, con un lungo volo di aspettative e un rapido atterraggio turbolento nella realtà. Il primo approccio con la scuola ‘’Especial’’ può risultare un pò confuso, per elaborare una teoria o trarre una conclusione ideologica dell’istituto bisogna
avere pazienza e tempo. L’ingranaggio didattico è una macchina in funzione già da molti anni, con
docenti che prestano servizio sin dal primo giorno di annessione della sede scolastica; attualmente ci sono 24 professori tra psicologhe/gi, logopediste/i e fisioterapiste/i.
La scuola conta 89 studenti con disabilità intellettuali, uditive, motorie e visive, un numero ridotto rispetto alla situazione pre-pandemica. Il nostro inserimento come volontari (3 in totale) è avvenuto in modo graduale, non da subito la collaborazione con i colleghi del luogo è stata efficace, e non
da subito le nostre capacità erano in grado di adattarsi al bisogno e alle caratteristiche educative, didattiche e sociali.

La costruzione di un programma scolastico continuativo ci sta aiutando a conoscere e capire le esigenze degli studenti, a studiare le capacità e i comportamenti degli alunni, a stringere un rapporto di fiducia con essi. Essenziale è la conoscenza che stiamo sviluppando studiando la lingua dei
segni Ecuadoriana (LSEC, Lengua de Senas Ecuatoriana), molto utilizzata dagli alunni e che ci permette di avere una possibilità di comunicazione più ampia, come anche la familiarizzazione con il braille che ci permette di dettare e leggere testi con studenti affetti da cecità.
Ogni alunno è in possesso di una ‘‘Diagnosi funzionale’’, ovvero un documento che riporta la descrizione della compromissione funzionale e dello stato psico-fisico dell’alunno; a questo sono affiancate delle prove che vengono fatte svolgere agli alunni dopo un periodo di frequenza breve (6
mesi) o lunga (2 anni), per valutare il prevedibile livello di sviluppo e creare un ‘Profilo Dinamico Funzionale’.
Al giorno d’oggi svolgiamo laboratori in differenti classi per 3 giorni a settimana: manualità, arte, musica. Le soddisfazioni nel vedere riscontri positivi credo non si riescano a descrivere in un comunicato. Quello che mi ha lasciato sbalordito fin da subito sono i comportamenti e le relazioni tra alunni: legami di amicizia molto forti, aiutarsi e capirsi, molto uniti tra di loro, in molte situazioni si crea una complicità delle disabilità. C’è una trasmissione pura delle emozioni.
Ho pochi ricordi di sentimenti così genuini nelle scuole che ho frequentato in Italia. Se proviamo però a guardare e identificare tutto ciò dall’esterno, l’idea di una scuola per solo studenti con disabilità, dà un’idea tutt’altro che inclusiva; chiamare gli alunni disabili ‘’Speciali’’ ci fa tornare indietro di molti anni. In Italia fino alla fine degli anni ‘60 la logica prevalente rimane quella della separazione, chi porta con sé una diversità viene percepito come un potenziale elemento di disturbo, impossibile da integrare o, meglio, da includere all’interno di una classe.
Nel 1962 in Italia vengono istituite le ‘classi differenziali per alunni disadattati scolastici’; nel 1967 vengono istituite le prime scuole definite ‘speciali’ per quei soggetti che non hanno una frequenza scolastica stabile, che abbisognano di un particolare trattamento, i soggetti ipodotati, i disadattati ambientali. Solo dopo 10 anni possiamo iniziare a vedere un modello di integrazione scolastica
che supera le logiche dell’educazione separata.
Qui a Tena il costrutto molte volte rimane ancora retrogrado; il processo di integrazione dei disabili nella scuola rispecchia il processo che si evolve nella società su questo tema: l’accesso alla vita pubblica per i portatori di handicap è ancora molto limitato.
Marciapiedi, negozi, edifici, bus, trasporti pubblici non sono utilizzabili per la maggior parte dei cittadini disabili; c’è una totale mancanza della segnaletica in braille, o dispositivi acustici per i pedoni. Il 3% della popolazione in Ecuador presenta delle disabilità.
La scuola, per quanto sia diventata di ‘’massa’’ visto che la scolarizzazione e la formazione sono entrati a far parte di un miglioramento socio-economico delle famiglie, non ha ancora strumenti pedagogici adeguati per l’inserimento di persone con handicap; mancano metodi e strategie per una integrazione scolastica che rispetti i bisogni educativi di tutti gli alunni senza intervenire sulla qualità della loro presenza.
La formazione non deve semplicemente concentrarsi all’insegnamento di una specifica professione ma essere in grado di sviluppare le capacità e abilità sociali in previsione di futuri ambiti lavorativi. Solo così si può identificarlo come un processo sociale.
Rendere ciascun soggetto disabile come protagonista della propria vita. Tutto ciò trova radicamento nelle zone limitrofe alla città dove si registra un basso indice di educazione; c’è ancora l’idea bigotta che avere un disabile in famiglia è spesso motivo di forte imbarazzo, o un’idea cristiana che identifica
la discapacità come un castigo divino.
Si deve cercare di superare la paura delle parole, senza nascondersi o nascondere tali pregiudizi; coscienza nell’identificazione della disabilità dell’alunno, renderla nota agli altri, chiarendo le capacità e i limiti senza cercare di rendere forzatamente tutti uguali. Come diceva Paul Valery, arricchiamoci delle nostre reciproche differenze.
Il mondo è fatto di differenze.
Si è diversamente abili, diversamente invalidi, diversamente maschi, femmine, diversamente etero; diversamente grassi, magri o diversamente alti, pelati o cappelluti. Diversamente bianchi, neri o gialli. Si è persino diversamente antipatici ma tutti, si è tutti ugualmente umani.