di Simone Lo Bosco – Inizio questo piccolo scritto chiedendo scusa a chi lo leggerà. Il titolo è ciò che per me è stata, e spero continuerà ad essere, la mia permanenza ed esperienza qui in Ecuador; quello che potrebbe succedere è che essendo un’esplosione potrebbe essere disordinata, contando anche che io sono una persona che prende tutto “di pancia” come si suol dire.

Arrivare qui è stato semplicemente nuovo, immersivo, totalizzante. Sono qui da tre mesi, e inizio a percepire questo luogo e i legami che ho qui come casa, ma allo stesso tempo esploro tutto con gli occhi e la mente sbarrati perché c’è una sorpresa dietro l’altra, e mi sento come un bambino che vede, sente ed impara cose per la prima volta. È una sensazione bellissima che mi riempie il cuore di sentimenti opposti tra loro che formano un equilibrio tumultuoso e particolarissimo. Perché qui appunto sento vita, ed è una vita totalmente nuova rispetto a quella che ero abituato a condurre, ascoltare ed osservare in Italia e nei luoghi che ho visitato prima. Ci sono moltissime cose opposte, in contrasto tra loro, che però formano un ambiente unico.

La foresta qui nell’Oriente Ecuadoriano: è praticamente ovunque, ed è allo stesso tempo meravigliosamente lussureggiante e orribilmente martoriata.
I fiumi: qui nella città ce ne sono due, uno è limpido e riflette la luce del sole e l’altro è inquinato da vari scarichi.
Il costo della vita: mangiare fuori costa pochissimo, ma alcune cose come un piccolo fornello a gas costano metà di uno stipendio.
Al di là di tutti questi colpi d’occhio, la cosa che mi ha colpito maggiormente è la vita delle comunità Kichwa: è diversissima da come la intendiamo noi, e alcune comunità sono a due passi dalle città ma sembra di essere in un altro mondo. Case di legno costruite dagli stessi abitanti, lavoro tutti insieme (la minga) per qualsiasi cosa possa dar beneficio a tutti o comunque alla maggior parte degli abitanti; nelle comunità che ancora le mantengono ci sono poi tradizioni meravigliose come la Wayusa Upina, lo svegliarsi prima dell’alba e raccontarsi i sogni per cercare di interpretarli, e poi semplicemente conversare con calma mentre il sole inizia il suo arco nel cielo, o il considerare la foresta come una cosa viva e chiedere il permesso di entrare quando si va in una parte nuova.

Io sono una persona molto positiva, ed essendo arrivato qui da poco sono ancora nella fase di stupore, meraviglia, immersione e novità, ma lavorando quotidianamente in comunità e vivendo tutti i giorni qui mi sono comunque accorto che non è tutto rose e fiori: ci sono molti problemi, come l’alcolismo e la corruzione, e molti ambienti di vita sono duri perciò lo diventano anche la comunicazione e i rapporti.
Eppure, andando oltre questo, la prima cosa che traspare nella vita quotidiana è la tranquillità, il fluire del tempo secondo ritmi morbidi e genuini, la gentilezza timida di tutti, che all’inizio non parlano eppure appena si rompe la barriera iniziale entrano in confidenza.
Alcune cose mi hanno interiormente commosso: Eliceo, il ragazzo Kichwa con cui lavoro, senza conoscermi mi ha regalato tre chontacuro (larve buonissime) da cucinare, perché si ricordava che mi piacevano; una volta sono finito in fondo a una strada dopo aver camminato tantissimo, in condizioni pietose, con il machete in mano, e due signore sono venute da me per chiedermi come potessero aiutarmi; nella prima comunità in cui sono stato ho fatto un aeroplano di carta a una bambina, e nonostante fosse sporco e storto mi ha sorriso, ci ha giocato ed è tornata a salutarmi; siamo rimasti a parlare di mille cose con dei ragazzi giovanissimi che dal Venezuela volevano arrivare in Cile insieme alla famiglia e si erano fermati a Tena qualche giorno.
Altre cose mi danno semplicemente allegria, come i taxi e i bus pieni di stickers religiosi tamarrissimi e luci di colori assurdi, o il modo in cui fanno la revisione alle automobili: basta che si accendono, si ride, pacca sulla spalla e si va; o la musichetta del camion della nettezza urbana e i piani delle case non finite che diventano posti per stendere i panni e lasciare il cane di casa.
Alcune cose non capisco perché le facciano, tipo mettere chili di zucchero in cose che sarebbero buonissime senza.
Alcune volte ci sono anche esperienze adrenaliniche, come le perquisizioni militari sui pullman o semplicemente come guidano.
Finora ho visitato un po’ di luoghi, e sento che il mio spirito si sta allargando, sia grazie a tutte le cose nuove che sto provando e che pian piano elaboro e diventano parte di me, sia grazie al fatto di poter riscoprire cose antiche, che per un motivo o per un altro nella vita frenetica della mia città sono state seppellite o sostituite. E tutta questa vita voglio portarla con me per sempre.