di Orsiola Sollaku. La mia avventura ecuadoriana è iniziata 2 anni fa. In questi anni, ho conosciuto e ho fatto amicizia con diverse persone, ma oggi voglio parlare di una donna molto speciale. Lei si chiama Rosa Carmen Alvarado Andi ed è l’abuela dei bambini con cui lavoro. È nata a Muyuna in una comunità kichwa vicino Tena, il 18 maggio 1947. Quando era giovane, per qualche anno ha lavorato come sarta e all’età di 16 anni i genitori hanno organizzato il suo matrimonio. Da Muyuna si è poi trasferita a Tena nel barrio “Las Playas” dove vive anche adesso con la sua famiglia. Mi racconta che prima il barrio era completamente coperto di alberi e piante. Ha dedicato tutta la sua vita a crescere i propri figli, a gestire la casa e lavorare la sua chakra.
“Era un lavoro duro, con il figlio più piccolo caricato dietro le spalle; lavoravo la terra per poi piantare la yuca, il verde e così avevamo del cibo da mangiare. Mio marito era sempre a lavoro, i bambini più grandi andavano con mio suocero a caccia di cibo come pesce, rane, guatusa, chontacuro, ukuy. E io poi preparavo il maito”.

Cosa è il maito, abuelita?
“Il maito è un nostro piatto kichwa tradizionale, all’interno della foglia di banana puoi mettere pesce o altri animali, un po’ di yuca e si cuoce nel fuoco. Prima non avevo le pentole e utilizzavo le foglie di banana per il cibo e un recipiente di argilla per fare la guayusa”.
Abuelita ha 11 figli, solo 2 di loro sono nati in ospedale mentre gli altri in casa. Vivono tutti insieme e ormai la famiglia è ancora più grande, grazie ai suoi tanti nipoti.
Dopo la prima ondata di Covid nel 2020, sono tornata in Ecuador e subito sono andata a incontrare i bambini per riprendere il lavoro educativo con loro. Entro a Playita e l’abuelita era seduta vicino alla cucina con le mani appoggiate sulle ginocchia come sempre. Era dimagrita tantissimo, mi vede e non si avvicina, la saluto anche io da lontano, la paura del Covid è ancora presente. Abbiamo passato un anno intero con lei e la sua famiglia. Il legame tra noi volontari e loro è diventato sempre più forte. Ogni mattina la trovavo pulendo lo spazio dove facevamo le attività o in cucina preparando la chicha, una bevanda a base di yuca che viene schiacciata e poi lasciata fermentare per qualche giorno.

Con il passare del tempo, ha iniziato a salutarci con un sorriso ed un abbraccio. Mi piace molto toccare le sue mani, perché mi ricordano le mani di mia nonna, le mani di una nonna che ha cresciuto tanti figli e tanti nipoti e ancora si prende cura di loro. Si sveglia alle 4 di mattina per accendere li fuoco e preparare la guayusa per la sua famiglia. Quando piove sta vicino al fuoco con i suoi nipotini che la circondano nell’attesa del nostro arrivo per le attività del giorno. Abbiamo passato tanti momenti belli insieme, pieni di allegria e felicità, abbiamo festeggiato tante occasioni ballando con lei, che con tanto amore ci insegnava i balli kichwa.

Purtroppo siamo passate insieme anche attraverso momenti difficili. Era un sabato sera di giugno, mi chiama Monica, sua nuora; ci chiede aiuto perché il fiume è straripato ed il quartiere è sotto l’acqua. Non ci ho pensato due volte e siamo andati a Playita. Vedo tutti i bambini e i loro genitori sotto la pioggia e le loro case sommerse dal fiume. L’Abuelita era seduta di fianco all’abuelito, sotto una coperta e con le gambe nell’acqua. Mi dirigo verso di lei e le sorrido, ma lei non ricambia come sempre, le chiedo come sta e mi risponde solo che ha freddo. Così decidiamo di portare lei con l’abuelito e i bambini a Casa Bonuchelli. Appena arrivati in camera, lei e l’abuelito sono andati a dormire perche già era molto tardi per loro, abituati ad addormentarsi alle 6.30 quando il sole tramonta. Il giorno successivo, già molto presto, si sono svegliati e sono tornati a casa loro. Dopo un paio di ore, quando abbiamo accompagnato anche i bambini al barrio, l’Abuelita era sempre lì pulendo la sua casa da tutto il fango che il fiume aveva lasciato. Le chiedo come aveva dormito e mi risponde felice dato che per lei era stata la prima volta in una vera camera, calda, con le finestre e un letto comodo.
Due settimane fa un altro momento difficile: lei ha perso la persona più importante, suo marito. Abuelito stava male da qualche tempo e non voleva andare in ospedale. Con le poche parole che conosce in spagnolo, mi racconta che era preoccupata per abuelito, le stava sempre vicino dandogli da mangiare e preparando diversi tipi di medicine naturali che ha imparato dai suoi avi. Ha fatto l’impossibile affinché si sentisse meglio. Appena vedeva un piccolo miglioramento dell’abuelito, lei felicissima mi raccontava e sperava. Avevano un legame molto bello, due persone che hanno fatto tanti sacrifici per mantenere unita la loro grande famiglia. Ma inaspettatamente l’abuelito ci ha lasciati. Tutta la famiglia ha sofferto per la sua perdita. Lei, sua moglie, nei giorni del velorio solo aveva le forze per piangere e accarezzare il suo volto per un’ultima volta. Non sono riuscita a capire cosa dicesse mentre piangeva perché parlava solo in kichwa, ma percepivo il suo grande dolore. Era un giorno difficile per lei, vedevo i suoi occhi pieni di tristezza e non avevo la forza di fare niente.

Negli ultimi giorni, l’ho vista già meglio. I suoi figli si sono stretti attorno a lei, l’hanno aiutata a risistemare la sua casa e poco a poco sta tornando alle sue abitudini ed ad essere il centro della sua famiglia.